mercoledì 12 dicembre 2007

Carcere si, carcere no

Tribunale di xxxxxx. L'imputato nnnn deve rispondere di due reati: Capo a) di avere minacciato un tizio ponendogli un coltello con lama di 25 centimetri puntato al collo; capo b) di avere portato in luogo pubblico il coltello suddetto con l'aggravante di avere commesso il reato per commettere il reato al capo a). Il giudice ritiene l'imputato colpevole dei due reati e stabilisce che possono concedersi per entrambi le attenuanti generiche equivalenti alle rispettive aggravanti. A questo punto il reato sub a) diventa una minaccia semplice punita con la sola multa, mentre il reato al capo b), riguardante un'arma da taglio, risulta punibile, ai sensi del'art. 4 della legge 110/75, con arresto ed ammenda. Ma forse questo il giudice non lo sa, nonostante sia stato recentemente valutato positivamente per la promozione e l'idoneità alle funzioni di appello e neppure lo vuole sapere sfogliando semplicemente un qualsiasi codice, così, condanna l'imputato alla pena di giorni 20 di reclusione per il delitto al capo a) (pena base gg. 30, meno un terzo per il rito abbreviato), ed alla pena di € .... di ammenda per la contravvenzione al capo b), sul presupposto che il coltello con lama di 25 centimetri non sia un'arma da taglio, ma un semplice strumento atto ad offendere come una semplice bacchetta di legno. Bello, vero? In fondo il risultato, per l'imputato, sarebbe lo stesso, visto che si tratta pur sempre di una pena detentiva e di una pena pecuniaria. Vagli a spiegare la differenza tra arresto e reclusione e le quisquilie sui diversi termini di prescrizione e sulle diverse modalità di esecuzione della pena. De minimis non curat pretor e neppure giudice monocratico.

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